La mia esperienza con Obsidian - Parte 1

Sono passati poco più di due mesi da quando ho cominciato ad usare attivamente Obsidian, e questo è un resoconto parziale della mia esperienza.

Cos’è Obsidian?

Obsidian è un’app gratuita (per l’uso personale) per scrivere e prendere appunti, sviluppata da Erica Xu e Shida Li durante la quarantena per COVID-19 del 2020.

Ma in cosa differisce da tutte le altre applicazioni in cui è possibile creare delle note?
Cominciamo dalla descrizione presente sul sito ufficiale:

Obsidian è un’app flessibile e privata per la scrittura, che si adatta al modo in cui pensi.

L’app nasce con la tutela della privacy come obiettivo principale. Tutto ciò che scriveremo nel nostro vault, così si chiama il contenitore di livello più alto delle nostre note, non verrà mai salvato da nessuna parte se non in locale sul nostro dispositivo. Le note sono fondamentalmente dei file di testo in formato Markdown, e per questo motivo sono agnostiche rispetto alla piattaforma[1], ma allo stesso tempo sono sono fortemente estendibili. Il formato Markdown, ampiamente diffuso, consente alle note di essere formattate, pur rimanendo leggibili anche senza un software che ne mostri l’estetica. Inoltre, essendo fondamentalmente un browser sotto mentite spoglie, Obsidian diventa ancora più potente attraverso l’utilizzo di JavaScript, che tuttavia non è necessario conoscere se non per un utilizzo avanzato. Ne parlerò meglio in un’altra nota di approfondimento.

Obsidian non ha un sistema di default che sincronizzi le nostre note sul cloud, ma il fatto che il vault sia costituito da file di testo salvati in locale sul dispositivo (e qualche file di Obsidian di cui parlerò fra poco), ci consente di adottare il sistema di sincronizzazione che preferiamo, semplicemente sincronizzando la cartella che contiene il nostro vault (con qualche limitazione che vedremo più avanti).

Nel caso in cui volessimo utilizzare invece un sistema già pronto, Obsidian fornisce un servizio di sincronizzazione a pagamento tramite abbonamento, chiamato Obsidian Sync, che al momento in cui scrivo (1 gennaio 2023) ha un costo di 96€ all’anno (o 10€ al mese).

L’applicazione è stata sviluppata in HTML, CSS e JavaScript su framework Electron, ed è disponibile per Linux, Windows, MacOS, iOS e Android, mentre non esiste una versione web. La predisposizione per la creazione e l’utilizzo di plug-in e temi la rende altamente personalizzabile. Esistono due categorie di plug-in: quelli ufficiali forniti da Obsidian, che possono essere attivati e disattivati a piacimento, e quelli della community. Questi ultimi possono essere installati da una sezione apposita delle impostazioni, una sorta di marketplace, e possono essere anch’essi attivati e disattivati in qualsiasi momento. Inoltre, per poterli utilizzare, è necessario attivate un’opzione che abilita l’utilizzo di plug-in di terze parti in tutto il vault.

La mia esperienza

OneNote

Per quanto mi riguarda, non ho mai preso appunti in maniera consistente e strutturata. Quando iniziai l’università provai a farlo con Microsoft OneNote, con scrittura manuale su Surface Pro 3, ma la complessità e pesantezza del software mi ha fatto un po’ desistere nel tempo. Inoltre era il 2014, e per quanto esistesse una sincronizzazione cloud delle note, non era semplice fruirne, ma soprattutto scriverle, su altre piattaforme se non il computer.

Evernote

In quel periodo provai anche Evernote, che abbandonai dopo qualche tempo per una mia inconsistenza, e perché fondamentalmente non lo usavo per l’università e non avevo una grossa necessità di prendere appunti.

Google Keep e WhatsApp

In tempi più recenti ho cominciato a usare quasi esclusivamente Google Keep e messaggi inviati a me stesso su WhatsApp.

Una curiosità storica su WhatsApp: prima non era prevista la possibilità di inviare messaggi a se stessi. Il primo escamotage che utilizzai fu quello di creare un gruppo con un’altra persona, per poi rimuoverla e utilizzare il gruppo come archivio di messaggi.

Andando a rivedere il gruppo in questione, noto solo ora che risale al 9 aprile 2014, e non vedo riferimenti a eventuali altre persone rimosse. Questo è curioso, perché non mi ricordavo che all’epoca si potesse fare. È anche possibile che l’elenco delle persone rimosse dal gruppo si sia perso nel tempo per via dei vari back-up e ripristini effettuati nel tempo, avendo cambiato da allora 5 o 6 cellulari.

Successivamente ho creato altri gruppi con lo stesso metodo, in modo da categorizzare i messaggi salvati. Un gruppo, ad esempio, era dedicato esclusivamente alla musica, e l’ho usato spesso - dopo l’arrivo di WhatsApp Web - come archivio delle bozze esportate dei brani a cui ho lavorato, in modo da poterne ascoltare la resa su cellulare.

(È lecito al giorno d’oggi dire cellulare al posto di smartphone?)

Gli aggiornamenti più recenti mi hanno poi dato la possibilità di usare direttamente una chat, al posto di un gruppo, senza però alcun vantaggio effettivo. Anche qui una curiosità: ho usato per la prima volta la chat con me stesso navigando all’url https://wa.me/{numeroditelefono}, come descritto in questo link della documentazione ufficiale. Solo qualche hanno più tardi implementarono nativamente la funzione.

Notion e Obsidian

Come scritto in Il mio Giardino Digitale, ho sempre avuto una sorta di feticismo del mezzo, un’attrazione inspiegabile verso gli strumenti - e le possibilità che offrono - per creare contenuti, più che per i contenuti stessi. Questo mi ha portato spesso a provare una quantità inutile di software che offrono funzionalità che in fondo non mi servono, ammirarne le enormi potenzialità, e poi disfarmene poco dopo archiviando la questione in un nulla di fatto.

Non è andata diversamente con Obsidian, in cui mi sono imbattuto per la prima volta poco più di un anno fa.

A questo punto è utile fare due premesse:

La prima cosa che mi saltò all’occhio di Obsidian fu senza dubbio il suo grafo. Non era la prima volta che vedevo una cosa del genere, avevo già avuto modo di provare brevemente Foam, un’estensione per VS Code che offre delle funzionalità analoghe. Non so perché all’epoca lasciai perdere. Probabilmente per la mancanza di una versione mobile di VS Code, e per via del suo utilizzo come strumento lavorativi (non sarei mai riuscito a tenere in ordine delle note private in un software strapieno di progetti di lavoro).

Prima di arrivare a capire quanto era possibile fare con Obsidian, mi fermai poco dopo aver scaricato l’applicazione su Android, e prima di creare un vault, dopo aver capito che la sincronizzazione tra iOS e Android sarebbe stata… un pain in the ass.

Sincronizzare Obsidian

Come dicevo poco più su, il vault di Obsidian non è altro che una cartella contenente le note sotto forma di file di testo. Oltre alle note è presente una cartella .obsidian, invisibile nel filesystem se l’opzione per mostrare i file nascosti non è attiva, che contiene una copia dei plug-in, le impostazioni dell’app, le preferenze sui temi e altri file simili. Tecnicamente, anche tutti questi file sono di testo.

Partendo dalla base, possiamo dire che copiando e incollando questa cartella su un’altro dispositivo, e aprendola con un’altra istanza di Obsidian come vault, avremo una copia esatta dei nostri contenuti originali, compresi i temi e le preferenze.

Sfruttando questo principio, se decidiamo di sincronizzare questa cartella sul nostro servizio cloud di fiducia (es. Google Drive, OneDrive, Dropbox, etc.) avremo la possibilità di utilizzare il vault su più dispositivi, gratuitamente (nei limiti di spazio imposti dal servizio scelto, naturalmente).

Quindi tutto risolto? Non proprio.

Per poter funzionare, Obsidian necessita che i file del vault si trovino in locale sul dispositivo. Non gli interessa come ci siano arrivati, ovviamente, ma non può accedere direttamente ai file che si trovano in remoto sul cloud. Ha bisogno di una copia completa del vault nel filesystem. In che modo questa è una limitazione?

La sincronizzazione con iOS

Per “ragioni di sicurezza”, l’iPhone consente a ogni app di scrivere e leggere file su uno spazio del filesystem accessibile solo ad essa (alcuni tipi di file fanno eccezione). Questo comporta che la sincronizzazione del vault tramite servizi cloud di terze parti ci consente di scaricare tutto il necessario sul dispositivo, ma senza che questo sia accessibile da Obsidian, rendendo l’operazione del tutto inutile.

L’unico servizio cloud in grado di sincronizzare i file e renderli accessibili a tutte le app è iCloud. Ora, se non c’è la necessità di utilizzare Obsidian al di fuori dell’ecosistema Apple, e quindi su dispositivi che non siano iPhone o Mac, questa soluzione può essere sufficiente, ma solo a e si tralascia il fatto che iCloud ha una gestione dei file sincronizzati quantomeno… peculiare.

Se la cava molto bene con i documenti, tanto che modificando una nota su un dispositivo la variazione è quasi immediata su tutti gli altri. Tuttavia, per risparmiare spazio, i file di una cartella sincronizzata vengono rimossi dal filesystem se non vengono aperti per “un po’ di tempo”. Questo comporta che a ogni apertura di Obsidian ci troveremo di fronte a una schermata di caricamento aggiuntiva che ci dice di attendere la sincronizzazione di iCloud.

I tempi di attesa variano in questo caso da qualche secondo a infinito, dato che una volta che Obsidian richiede di leggere alcuni file, è iCloud che decide se e quando scaricare quei file sul dispositivo. Dopo poco tempo l’applicazione si bloccherà, e dovremo chiuderla e riaprirla finché la sincronizzazione non sarà stata completata. Questo diventa un problema non tanto al crescere della quantità di note presenti, quanto al numero di plug-in e altri file presenti nel vault. Un plug-in è composto da svariati file CSS, JavaScript e JSON, e a differenza delle note che sono indipendenti l’una dall’altra, per funzionare è necessario che tutti i file di un plug-in siano presenti contemporaneamente nella cartella corrispondente. Lo stesso discorso vale per i temi, e non è infrequente con iCloud aprire Obsidian e ritrovarsi con il tema di default dell’applicazione, solo perché alcuni dei file delle nostre preferenze non si trovano più sul dispositivo.

Ho appreso tutto ciò solo recentemente, dopo poco più di un mese di utilizzo, durante il quale mi sono fatto bastare la sincronizzazione tra iOS e MacOS. Ma all’epoca non ero ancora arrivato a questa fase.

Essendo quello tra Android e iOS un momento di transizione doloroso (ne parlerò in un’altra nota), decisi di lasciar perdere momentaneamente Obsidian, almeno finché non avessi trovato un modo per gestire le note su più piattaforme (non mi andava di spendere soldi per Obsidian Sync senza prima capire effettivamente se ne sarebbe valsa la pena).

Un breve sguardo a Notion

Nel frattempo, non persi mai di vista i software appartenenti alla categoria, tanto da riuscire a farmi un’idea delle funzionalità che ognuno offriva, senza mai effettivamente provarle direttamente.

Ebbi modo di provare Notion per lavoro, durante la ricerca di un nuovo software di gestione della documentazione interna e di project management.

Notion offriva esattamente quello che stavo cercando. Le funzionalità erano quelle che mi aspettavo da un’app del genere, l’estetica era sorprendente. A parte qualche complessità di cui avrei fatto a meno, sembrava perfetta.

La bocciammo al lavoro per via dei costi della modalità collaborativa, e decisi di non usarla nel privato - nonostante non abbia limiti in quel caso - perché non avevo la necessità di imbarcarmi nell’utilizzo dell’ennesima applicazione di creazione di note cloud, che avrebbe richiesto un cambio di ecosistema di cui decisi di fare a meno.

Obsidian, ritorno di fiamma

Ormai il danno era fatto, e avevo intravisto le potenzialità di un software del genere. Ritornai a valutare l'utilizzo di Obsidian, ma questa volta mi resi conto di una cosa importantissima: avevo il controllo completo del contenuto. Non sto facendo un discorso di privacy, non me ne frega niente. Il mio è un ragionamento pratico. Nonostante la quantità enorme di modi esistenti per sviluppare e personalizzare le proprie note, queste rimangono file di testo su un filesystem locale.

È una cosa fondamentale e molto potente, perché se un giorno decidessi di non usare più Obsidian, tutto ciò che avrò scritto non andrebbe scaricato da un server remoto, né importato in nessun'altra piattaforma, prima di essere consultato. Cioè, a meno che per qualche assurdo motivo l'essere umano decidesse di deprecare i file .txt e eliminare qualsiasi modo per leggerli, le mie note sarebbero sempre a mia disposizione, con i vantaggi conferiti dal Markdown, ovvero la formattazione e i collegamenti tra una nota e l'altra (più o meno, approfondirò in un'altra nota).

Conclusioni

Per la prima volta sono riuscito a trovare un software che non solo mi ha convinto fin dal primo utilizzo, ma con il quale sono riuscito a mantenere una consistenza nel tempo.

Per esempio, ad oggi (3 gennaio 2024), dopo quasi tre mesi di utilizzo, sono riuscito a scrivere ogni giorno delle note giornaliere, tenendo a tutti gli effetti il diario che non sono mai riuscito a scrivere (ne parlo in Il mio Giardino Digitale). Questo stesso sito è nato grazie a Obsidian, che è anche lo strumento sul quale sto attualmente scrivendo.

Pubblicherò una seconda parte per entrare nel dettaglio di come utilizzo Obsidian, nonché fare una lista dei plug-in che ritengo più utili, e magari fare qualche guida su come creare e pubblicare un Giardino Digitale.


  1. Con agnostico rispetto alla piattaforma si intende qualcosa che, non dovendo seguire un determinato schema o formato proprietario, può essere trasportato, utilizzato e fruito su qualsiasi altra piattaforma indifferentemente da quale essa sia, con poche o nessuna limitazione. ↩︎